Sabato 11 giugno – 150 Miles
Caldo. Neppure le otto e fa già troppo caldo. Rifacciamo il pieno alla petroliera (2,35$ us$ gal) e partiamo per Apache Junction – niente di che, a parte le autostrade a sette/otto corsie dove un 747 non avrebbe problemi ad atterrare. Az 88, strada a due sole corsie e paesaggio più scarno, sulla sinistra vediamo le indicazioni per la Goldfield Ghost Town. Quello che oggi è ad esclusivo beneficio del turista era sino a quarant’anni fa una autentica miniera, circondata da un vero villaggio, la cui pianta non è mutata e che fa mostra delle sue strutture arrugginite, dei vecchi binari e vagoncini sparsi dappertutto.
Vorremmo fare il giro su un vecchio treno a vapore che fa un breve tour nei pressi, per soli 8$, ma ci spiega l’anziana signora alla biglietteria della stazioncina, il prossimo treno è fra oltre mezz’ora. Chit chat, da dove venite/Italia, dove andate/Apache Trail, ci raccomanda di avere scorte di acqua, e per esserne certa ce ne regala due bottiglie. Che gentile, ci sentiamo turisti interessanti – l’italiano è raro ed apprezzato – e non polli da spennare.
Ripartiamo in direzione di Tortilla Flat e la strada diventa sempre più tortuosa, anche se ancora asfaltata. Asfalto e doppia riga gialla, ambedue scoloriti da quel sole che spinge il termometro ad oltre 100 gradi fahrenheit. Tortilla Flat ha ufficialmente sei abitanti, se avessero detto sette, mi sarei sentito preso in giro. Niente benzina, uno store con ghiaccio, bibite, un saloon con bar e seggiolini tipo “sella western”, gift shop e basta. Compero per 10$ un cappello di paglia, un po’ troppo stile rodeo, ma la mia pelata dice che è bellissimo, ringrazia ed è felice.
Lo sterrato a seguire adesso è alquanto stretto e con tole ondulée, quella serie di corrugamenti che si formano sui fondi terrosi e sabbiosi. Mi dissero anni fa dei genovesi in Sardegna, che ogni macchina ha una “sua” velocità ottimale, raggiunta la quale è come se planasse. Dubito, far planare 2447 chili di jeep non è esattamente il mio mestiere ma, a 28 mph la magia si compie… ma solo per un attimo. La velocità possibile non supera le 20 mph e la nostra frullojeep si impegna al massimo con i suoi ammortizzatori e ce ne andiamo così. I saguari ci osservano schierati dai crinali della montagna a ridosso della strada, come vecchi indiani pronti ad attaccare. Sono centinaia, alcuni altissimi, i più vecchi con molti bracci e forme distorte.
È il paesaggio che conosciamo grazie alla matita di Gian Luigi Bonelli, il papà di Tex Willer. Mi passa per la testa che il prossimo mezzo che incroceremo (pochissimi in realtà) sarà per forza una diligenza, è quasi una pretesa la mia. Il ciglio della strada è un dirupo, al di là del quale si snoda un canyon che termina in un lago, il lago Apache, formato dalla costruzione di una diga. In realtà il lago è molto vasto, e sulle sponde ci sono molti centri di attività nautica, compreso un porto turistico. Moltissimi i creeks, torrenti rigorosamente in secca, per superare i quali troviamo diversi ponti metallici a corsia unica, ma qui è davvero una gara a chi cede il passo all’altro, e sempre col sorriso sulla bocca e negli occhi.
La magia di questa strada tortuosa è che ad ogni curva propone uno scenario diverso e inaspettato. Il giallo delle rocce, il verdognolo di alcuni crinali, il rosso ossido di alcuni filoni di roccia. Sono molte le piazzole di sosta, alcune con camminamento guidato in cemento per raggiungere spiazzi panoramici, e noi le facciamo tutte.
Immancabili le raccomandazioni, è zona di rattlesnakes, i serpenti a sonagli.
Suggerimento: sai che esistono dei tour organizzati che da Phoenix ti permettono di visitare l’Apache Trail e Goldmine con una guida turistica? Trovi tutte le informazioni a questa pagina.
Stiamo vedendo un paesaggio tanto inimmaginabile quanto autentico. Era questo sterrato lungo 22 miglia un vecchio sentiero Apache, che gli indiani nativi percorrevano per superare le Superstition Mountains. Come se ogni giorno volesse superare in fascino e bellezza il giorno precedente, e c’è la fa alla grande. Domani tappa a Sedona, “vicina” solo 200 km. Sto iniziando a ragionare come loro, ed in effetti sono in casa loro.
Piccolo bilancio su cui è d’accordo anche la Patty: San Francisco bella, ma niente di più, bello il Golden Gate, i tram, le colline, il Pier 39, ma decisamente troppo cara e deludente per quello che chiede rispetto a quanto dà. Bella la 17 Miles road di Monterey, Santa Barbara carina ma un giorno è più che sufficiente; lussuosa Palm Springs ed intrigante, si comincia a sentire odore di deserto. Molto bello il Joshua Tree National Park e favoloso l’Apache Trail. Il nostro desiderio di viaggio solitario in scenari naturalistici si sta pian piano realizzando.
Nota: oggi a Phoenix benzina a 2,16$ il che, facendo un conto della serva è di circa 50/55 cent di euro al litro. A domani, ci aspetta la Cathedral Rock di Sedona.
Domenica 12 giugno – 165 Miles
Destinazione Sedona. Poco più di duecento km percorsi in circa due ore, solite mega strade di Phoenix, poi strada panoramica, by-way, che ti introduce al clima con pinete di conifere, e precisamente Arauca-rioxylon Arizonicum, dalla chioma meno folta che compare sui due terzi superiori del fusto ricoperto da corteccia rossiccia, e del caratteristico odore molto intenso. Improvvisamente dietro una curva appaiono le rocce rosse, the Red Rocks, che caratterizzano Sedona.
Immagine mozzafiato. Faccio fatica ad impormi di guardare la strada, difficile davvero perché le rocce sono su tutti e due i lati. In hotel, la ragazza gentilissima risolve un piccolo problema con Booking e ci accoglie con una gentilezza a noi insolita. Brava dolcissima squaw – infatti il suo viso carinissimo denota chiare ancestralità Hopi.
La camera è pronta nel pomeriggio, ci prende i bagagli che poi provvederà a sistemare, e ci dà istruzioni chiarissime con mappa e rivista su come sfruttare la mezza giornata: non poteva fare di meglio: riusciamo a vedere le due valli contigue, visitiamo un centro commerciale in stile messicano di buona fattura, niente paccottiglia ma oggetti di buon artigianato, specialmente le sculture in legno ed i bronzi fusi, ancorché non a sabbia sono di buona fattura, ricchezza di dettaglio e senso plastico.
Il meglio è però alla sera, quando le rocce rosse si infiammano e spiccano contro il verde delle conifere e l’azzurro del cielo. La vastità degli spazi ci appare in tutta la maestà, e ti senti solo un piccolo uomo. È una bellezza imponente e quieta, lo sguardo non riesce a fermarsi, sempre alla ricerca di qualche dettaglio sfuggito, di qualche altra sfumatura da scoprire.
Suggerimento: vuoi saperne di più su questi splendidi paesaggi naturali? Leggi la nostra guida su cosa vedere a Sedona.
Abbiamo visto canyon, torrenti, ponti, rocce di ogni colore, respirato il balsamo di pinete sconfinate, ma alla fine del giorno lo stomaco reclama il dovuto. Cena al ristorante messicano, dove servono del filet mignon grigliato ed un loro piatto con ottimo sirloin cucinato con spezie, verdure e fagioli neri. Profumo accattivante, colori vivaci e carni tenerissime e gustose, cotte alla perfezione ed impiattamenti ricercati. Entrambe squisiti, ma tanta era la fame che non li abbiamo fotografati, immaginate voi…
Rientriamo in camera e…. aria condizionata a manetta, stanza grandissima con camino… acceso!
Fagioli neri e… Academy of F’Arts University! Cosa cavolo sono andati a fare sulla luna se accendono camino e climatizzatore? Mah…
Domani direzione Page, via Az 179 sino a Flagstaff, strada panoramica, tempo stimato quattro ore salvo traffico e soste foto.